pubblicato su Courage to Resist*
- Distruggendo vite.
Il successo sarebbe la fine della catastrofe che abbiamo inflitto ad un’intera società...Al ragazzo cui abbiamo “accidentalmente” ucciso il padre ed un cugino, con madre e fratelli che piangono ogni volta che un carrarmato attraversa il quartiere, non interessa sapere chi sia Osama Bin Laden. I “miliziani” che abbiamo attaccato erano solitamente molto simili ad un gruppo di controllo armato del quartiere che non riconosceva il governo. Nemmeno noi credevamo al governo, ma lo abbiamo ugualmente messo al potere! I nostri sacrifici, per quanto tragici ( e lo sono, tragici), sono minimi, se paragonati alla carneficina che è stata perpetrata contro la gente dell’Iraq. Il vero “successo” in Iraq non è una questione di “calo” del numero delle vittime nelle forze della coalizione. Il successo sarebbe la fine della catastrofe che abbiamo inflitto ad un’intera società, e il ripristino della sua dignità e sovranità.
Gli iracheni continuano a morire
Provo invidia per quel soldato che è stato in grado di intuire l’ingiustizia di questa guerra da subito, e che ha il coraggio e la convinzione di opporsi ad essa. Ci sarà chi biasimerà i soldati che hanno volontariamente anteposto la propria morale all’ambizione politica. Ciò che importa è decidere. Non importa se hai scelto di non arruolarti affatto, o se ti sei reso conto dopo il tuo ingresso nelle forze armate di essere stato deluso da un livello di integrità di molto inferiore a quello che pensavi, il momento in cui hai capito quale era la verità, quello era il momento di fare una scelta. Il mio arrivò quando mi mancavano soltanto tre settimane di servizio in missione, durante l’anno che ho trascorso in Iraq. La consapevolezza della propria etica non ha un momento preciso per manifestarsi. Quando ho fatto la mia scelta, ho informato la catena di comando riguardo i miei convincimenti. Potevo già immaginare da questa prima conversazione che le cose non sarebbero andate bene da quel momento in avanti. Dissi loro che ritenevo illegale la nostra presenza in Iraq. Ho spiegato che non credevo più in una strategia politica di guerra, e che avrei fatto domanda per fare obiezione di coscienza. In parole povere, non potevo più in coscienza partecipare ad azioni di combattimento contro la gente irachena.
- Mai più.
Sono stato messo illegalmente in isolamento, su di una branda in una sala operatoria, sorvegliato 24 ore su 24, seguito da una scorta persino al bagno, prima di essere formalmente accusato, due settimane più tardi, di aver rifiutato di eseguire un ordine. Sono rimasto confinato fino a quando non mi sono dichiarato colpevole (non avevo molta scelta) ,meno di una settimana dopo questi fatti. Sono stato immediatamente trasferito a Camp Arifjan, in Kuwait, per restare trenta giorni dentro la prigione locale. Sono stato rilasciato l’altro giorno e ora sto per essere “cacciato” con un “tutt’altro che onorevole” congedo. Non rimpiango nulla. Una volta che ho parlato al mio comando chiarendo le mie convinzioni, e una volta che i miei superiori hanno capito che non mi sarei fatto intimidire, hanno deciso di iniziare contro di me una “guerra dell’informazione”.
Avevo molti amici contrari alla guerra su My Space e altri canali internet che divulgavano informazioni riguardo la mia prigionia e le facevano circolare in tutto il mondo, letteralmente in un baleno. Prima che lo sapessi, fui convocato nell’ufficio del sergente capo e iniziarono a lamentarsi e ad urlare perché i loro nomi apparivano “dappertutto su internet”. Non hanno cercato di negare le cose che venivano dette di loro, o il fatto che io fossi stato maltrattato e che loro rifiutassero di riconoscere la mia richiesta di fare obiezione di coscienza, bensì erano infuriati per via dell’esposizione mediatica cui erano sottoposti.
- Libertà.
Cercate la verità. Prendete una decisione.
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