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domenica 26 agosto 2007

Non sparo più

Da cecchino in Iraq ad attivista contro la guerra. La storia di Eleonai 'Eli' Israel
pubblicato su Courage to Resist*


Due mesi fa, ho preso una decisione che ha cambiato la mia vita per sempre.

Come soldato, un agente Jbv (Joint Visitors Bureau n.d.r.) del servizio di sicurezza, e come cecchino dell'esercito che ha trascorso un periodo di un anno in Iraq (prendendo parte ad oltre 250 missioni di combattimento), mi sono rifiutato di continuare a far parte dell'occupazione. Non ho rimpianti. Questa è la mia storia. In questo momento, ora che scrivo, sono parcheggiato qui in Kuwait, in “stand by”, attendendo di tornare negli Stati Uniti, spero un giorno di questa settimana. Dopo essere uscito dal carcere militare la scorsa settimana, è ora previsto il mio congedo dalle forze armate entro questo mese. Sono in attesa di potermi unire ai movimenti che si oppongono al conflitto in Iraq, come ad esempio Courage to resist e Iraqi Veterans Against the War .


  1. Distruggendo vite.
Ho tolto e/o distrutto la vita di persone che stavano cercando soltanto di proteggere la propria famiglia, affinché non diventasse il “danno collaterale” del giorno. I giovani iracheni stanno unendosi a gruppi come Al Quaeda per gli stessi motivi che spingono i ragazzi di strada negli Usa a unirsi a bande come i Cribs o i Bloods. Si tratta di proteggere se stessi, di un senso di dignità, e di resistere.


Il successo sarebbe la fine della catastrofe che abbiamo inflitto ad un’intera società...Al ragazzo cui abbiamo “accidentalmente” ucciso il padre ed un cugino, con madre e fratelli che piangono ogni volta che un carrarmato attraversa il quartiere, non interessa sapere chi sia Osama Bin Laden. I “miliziani” che abbiamo attaccato erano solitamente molto simili ad un gruppo di controllo armato del quartiere che non riconosceva il governo. Nemmeno noi credevamo al governo, ma lo abbiamo ugualmente messo al potere! I nostri sacrifici, per quanto tragici ( e lo sono, tragici), sono minimi, se paragonati alla carneficina che è stata perpetrata contro la gente dell’Iraq. Il vero “successo” in Iraq non è una questione di “calo” del numero delle vittime nelle forze della coalizione. Il successo sarebbe la fine della catastrofe che abbiamo inflitto ad un’intera società, e il ripristino della sua dignità e sovranità.


Gli iracheni continuano a morire

con un tasso dieci-venti volte superiore a quello delle forze della coalizione. Nella sola Baghdad, e dopo cinque anni e 950 miliardi di dollari spesi, la popolazione soffre per la mancanza di acqua ed energia, che può protrarsi anche per settimane. Il giorno in cui ho visto me stesso riflesso nello sguardo carico di odio di un giovane ragazzo iracheno che stava di fronte a me, è stato il giorno in cui ho capito che non avrei più potuto continuare a giustificare il mio prendere parte all’occupazione.
Provo invidia per quel soldato che è stato in grado di intuire l’ingiustizia di questa guerra da subito, e che ha il coraggio e la convinzione di opporsi ad essa. Ci sarà chi biasimerà i soldati che hanno volontariamente anteposto la propria morale all’ambizione politica. Ciò che importa è decidere. Non importa se hai scelto di non arruolarti affatto, o se ti sei reso conto dopo il tuo ingresso nelle forze armate di essere stato deluso da un livello di integrità di molto inferiore a quello che pensavi, il momento in cui hai capito quale era la verità, quello era il momento di fare una scelta. Il mio arrivò quando mi mancavano soltanto tre settimane di servizio in missione, durante l’anno che ho trascorso in Iraq. La consapevolezza della propria etica non ha un momento preciso per manifestarsi. Quando ho fatto la mia scelta, ho informato la catena di comando riguardo i miei convincimenti. Potevo già immaginare da questa prima conversazione che le cose non sarebbero andate bene da quel momento in avanti. Dissi loro che ritenevo illegale la nostra presenza in Iraq. Ho spiegato che non credevo più in una strategia politica di guerra, e che avrei fatto domanda per fare obiezione di coscienza. In parole povere, non potevo più in coscienza partecipare ad azioni di combattimento contro la gente irachena.


  1. Mai più.
Pochi secondi dopo aver pronunciato queste parole, la mia vita è cambiata. Ho sentito in me la più profonda sensazione di pace mai provata da più di un anno. Ero certo di aver fatto la cosa giusta. Subito dopo, sono stato disarmato, messo in isolamento, e mi è stato proibito di avere contatti con qualsiasi famigliare o parente.


Sono stato messo illegalmente in isolamento, su di una branda in una sala operatoria, sorvegliato 24 ore su 24, seguito da una scorta persino al bagno, prima di essere formalmente accusato, due settimane più tardi, di aver rifiutato di eseguire un ordine. Sono rimasto confinato fino a quando non mi sono dichiarato colpevole (non avevo molta scelta) ,meno di una settimana dopo questi fatti. Sono stato immediatamente trasferito a Camp Arifjan, in Kuwait, per restare trenta giorni dentro la prigione locale. Sono stato rilasciato l’altro giorno e ora sto per essere “cacciato” con un “tutt’altro che onorevole” congedo. Non rimpiango nulla. Una volta che ho parlato al mio comando chiarendo le mie convinzioni, e una volta che i miei superiori hanno capito che non mi sarei fatto intimidire, hanno deciso di iniziare contro di me una “guerra dell’informazione”.
Avevo molti amici contrari alla guerra su My Space e altri canali internet che divulgavano informazioni riguardo la mia prigionia e le facevano circolare in tutto il mondo, letteralmente in un baleno. Prima che lo sapessi, fui convocato nell’ufficio del sergente capo e iniziarono a lamentarsi e ad urlare perché i loro nomi apparivano “dappertutto su internet”. Non hanno cercato di negare le cose che venivano dette di loro, o il fatto che io fossi stato maltrattato e che loro rifiutassero di riconoscere la mia richiesta di fare obiezione di coscienza, bensì erano infuriati per via dell’esposizione mediatica cui erano sottoposti.



  1. Libertà.
La verità verrà allo scoperto, e non c’è nulla che possano fare per nasconderla. L’occupazione è un disastro. Sono convinto che ogni giorno in più di questo stato di cose renda sia l’America che l’Iraq meno sicuri. Oppormi alla guerra e mantenere la schiena dritta di fronte ai miei superiori è stata senza alcun dubbio una delle migliori decisioni che abbia mai preso. Ho fatto la scelta giusta, e in regalo ho avuto indietro la mia libertà. Forse tra dieci anni quelli di noi che hanno resistito dall’interno alla forza militare oggi, saranno visti come i primi pochi coraggiosi ad aver detto la verità, facendo seguire i fatti alle parole. Anche adesso ci sono molti intorno a me che mi ricordano che non sono il solo a pensarla in questo modo, vale a dire la maggioranza degli americani, che si sono resi conto che i pezzi che compongono il mosaico di questo conflitto semplicemente non combaciano.

Cercate la verità. Prendete una decisione.


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